Il cuore umano della tecnologia

Marisandra Lizzi
Spazio delle Relazioni Umane
7 min readJan 18, 2024

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Internet docet: con l’intelligenza artificiale evitiamo di commettere gli stessi errori della rivoluzione digitale

«Il computer gioca a scacchi meglio di noi, ma non è saper giocare a scacchi che ci rende eccezionali, è magari il desiderio di giocarci, il fatto che vorremmo vincere o che gioco peggio perché gioco con mia nipote e voglio che vinca lei».
Luciano Floridi

Pubblico il testo dell’articolo che ho avuto il piacere di scrivere per Le Cento Città, la rivista diretta da Franco Alisei.
Per la prima volta nella storia siamo di fronte a una rivoluzione industriale che influisce sulla professione di chi scrive e di chi lavora con l’intelletto. Insomma, siamo di fronte a un’intelligenza, creata dalla nostra, ma molto diversa dalla nostra, che è in grado di capire il mondo, può passare gli esami di fisica e di matematica all’università, può scrivere testi relativamente originali e creativi, può generare immagini, può persino suggerire strategie o decidere l’ordine di ingresso al pronto soccorso o se un cliente della banca ha diritto o meno di ricevere un mutuo.

L’articolo su Le Cento Città, la rivista diretta da Franco Alisei

Queste funzioni sono già attive in molti settori dove l’umano ha delegato, volente o nolente, le sue funzioni alla macchina. Basta parlare con un direttore di banca per capire quello che intendo.

Non ci sarebbe da essere preoccupati se potessimo fidarci della neutralità della tecnologia, il problema è che la tecnologia non è neutrale e ha già dimostrato nella precedente rivoluzione di Internet tutte le sue criticità.

Chi affronta questi argomenti, a mio avviso, deve aver ben chiari quali sono i limiti e i rischi per poter realmente sviluppare una tecnologia che aiuti a migliorare la vita delle persone.

Di questi aspetti si è parlato al Festival del Giornalismo Culturale di Urbino in un panel a cui ho avuto il piacere di partecipare.

A differenza degli esseri umani, le intelligenze artificiali non sono influenzate da emozioni o abitudini personali, agiscono in modo puramente razionale ed estrapolano le informazioni da ragionamenti puramente logici. Occorre però tenere presente che si tratta di un prodotto umano, alimentato da dati umani, da programmatori umani, che recano con sé tutti i loro preconcetti e i loro pregiudizi. Elementi che già vediamo in azione e cogliamo nelle nostre interazioni quotidiane con i sistemi di intelligenza artificiale generativa.

Questi aspetti ci confermano come sia impossibile parlare di neutralità della tecnologia e come appaia quanto mai urgente la necessità di interventi regolatori e un approccio etico a questi nuovi strumenti tecnologici. La newsletter “Cultura del Dato” di Stefano Gatti segnala un articolo imperdibile di Tim O’Reilly, lo stesso che ha coniato il termine “Web 2.0”. Alla fine dell’articolo, il pioniere del Web scrive: “Non dovremmo aspettare di regolamentare questi sistemi fino a quando non saranno impazziti. Ma i regolatori non dovrebbero nemmeno reagire in modo eccessivo agli allarmismi sull’IA diffusi dalla stampa. I regolamenti dovrebbero innanzitutto concentrarsi sulla divulgazione del monitoraggio attuale e delle migliori pratiche. In questo modo, le aziende, le autorità di regolamentazione e i tutori dell’interesse pubblico possono imparare insieme come funzionano questi sistemi, come possono essere gestiti al meglio e quali potrebbero essere i rischi sistemici.”

Il secondo punto da analizzare con attenzione è la crescente diffusione del “capitalismo della sorveglianza”, dalla efficacissima definizione di Shoshana Zuboff, e l’emergere di una sorta di “quinto potere” che influenza l’opinione pubblica in modo pervasivo e sistematico. “Non siamo più il soggetto — scrive Zuboff — e nemmeno, come ha invece affermato qualcuno, il prodotto. Siamo invece gli oggetti dai quali vengono estratte le materie prime, siamo i mezzi per lo scopo di qualcun altro”. Già oggi i sistemi di intelligenza artificiale attingono a un’ampia mole di dati umani, scandagliando la rete e lo fanno a velocità fino a pochi anni fa impensabile. Di fronte a uno scenario di questo tipo solo attraverso una collaborazione tra aziende, autorità regolamentari e difensori dell’interesse pubblico, sarà possibile comprendere come gestire questi potenti strumenti e mitigarne i rischi.

Un’urgenza dettata tanto più dalla considerazione secondo cui la diffusione dell’IA finirebbe con l’aggravare ancor più il potere pervasivo dei grandi giganti tecnologici, che già oggi detengono un enorme concentrazione di risorse, informazioni e mi verrebbe da aggiungere anche di capitale semantico.

Ted Chiang in un bellissimo articolo sul New Yorker rileva come negli ultimi quarant’anni il PIL pro capite è quasi raddoppiato negli Stati Uniti, ma il reddito familiare mediano non è cresciuto di pari passo. Questo periodo storico coincide con la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione. L’autore sottolinea che il valore economico creato dal personal computer e da Internet è stato principalmente usato per aumentare la ricchezza dell’1% della popolazione, invece di migliorare il tenore di vita dei cittadini americani nella sua totalità.

Un potere enorme e privo di adeguati contrappesi, se consideriamo che chi investe nell’intelligenza artificiale, investe anche nelle Istituzioni che dovrebbero regolare o legiferare, creando un evidente conflitto di interesse e un capitalismo famelico più pericoloso di quello dei secoli precedenti. Inoltre è un mercato di fatto chiuso, stante l’eccessiva dimensione degli investimenti necessari per entrarvi. Questioni che ho posto direttamente a ChatGPT, che forse in modo un po’ naif, mi ha restituito questo intreccio spesso inestricabile di interessi tra corporation ed enti regolatori, semplicemente partendo dalle domande su chi investe e finanzia l’IA e su chi finanzia chi dovrebbe regolamentarla. Persino ChatGPT ha dovuto ammettere che si tratta di una sfida complessa: “Hai sollevato un punto importante — ha ammesso l’IA — riguardo all’etica dell’intelligenza artificiale (IA) e alla necessità di garantire un’adeguata separazione tra chi sviluppa l’IA e chi la regolamenta.” Un’ammissione che non ha trovato spazio per soluzioni convincenti. Almeno per ora.

Tutte queste considerazioni ci portano a un’ultima, ma fondamentale questione: il nostro rapporto con la tecnologia. Sono sempre stata affascinata dalle innovazioni e ho passato la mia vita a studiarle e comunicarle con la missione di raccontare un digitale che fosse in grado di migliorare la vita delle persone. Tuttavia, non ho più lo stesso entusiasmo di allora. Attraverso il digitale la nostra energia è costantemente sottoposta a tensioni, poiché dobbiamo continuamente decidere quali informazioni trattenere e quali eliminare. Il costante processo di depurazione “organica” affatica i nostri corpi, esaurisce le nostre risorse di selezione e di filtro. Con il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale, l’energia fisica necessaria per questa attività aumenterà in modo esponenziale. È fondamentale essere consapevoli dell’influenza che gli ambienti esercitano sulla nostra vita, siano essi naturali o artificiali.

L’innovazione digitale ha sicuramente migliorato la vita delle persone, ma purtroppo si è dimostrata anche una trappola subdola travestita da angelo salvatore. Occorre smascherarla senza scartare tutto ciò che ha portato di buono alla società, ma avendo la forza di prendere consapevolmente le distanze da ciò che non funziona e che addirittura ottiene l’opposto di quanto promesso. Ci siamo illusi che l’innovazione digitale portasse democratizzazione, sostenibilità, riduzione dei prezzi e lotta alle disuguaglianze. Ma purtroppo non è stato così: Jonathan Crary, in Terra bruciata. Oltre l’era del digitale verso un mondo postcapitalista, evidenzia come le disuguaglianze e il dissesto ambientale siano correlati al capitalismo digitale, da lui indicato come fase terminale del capitalismo globale votato alla finanziarizzazione dell’esistenza sociale, all’impoverimento di massa, all’ecocidio e al terrore militare.

Luciano Floridi avverte che in un mondo tanto complesso l’innovazione non è più solo fattibile e di successo, essa deve anche essere preferibile ovvero deve tener conto dell’etica e dei valori. Questa è la fondamentale sfida della nostra era. Il filosofo in una recente intervista sottolinea come “abbiamo messo l’intelligenza artificiale al centro e l’umanità al servizio, ed è una scemenza che abbiamo fatto noi”, producendo una “erosione in parte della dignità umana e in parte dell’autonomia umana”. Dobbiamo tornare umani, perché, ci ricorda sempre Floridi, avremo sempre più bisogno di intelligenza umana.

Tornare umani per me è stato riscoprire le infinite potenzialità del corpo che non è solo mente. Ridare spazio al camminare pensoso e creare spazio fisico e bellezza. Sono tornata ai libri e ai quaderni di carta, alla scrittura lenta con la penna stilografica e l’inchiostro e cerco con tutti i mezzi che posso di fare in modo di avvertire il mondo di non fidarsi di chi vuole manipolare la nostra esistenza. Il nostro valore non è paragonabile a quante email riusciamo a processare o a quanti libri accumuliamo sul Kindle senza talvolta neppure avere il tempo di leggerli, ma alla capacità di stupirci, di meravigliarci, di creare relazioni umane, di avere più tempo e più spazio per i nostri corpi che non sono solo intelligenti ma anche senzienti. Hanno emozioni e sentimenti. Il “Cogito ergo sum” di Cartesio che ha portato a una prevalenza del corpo sulla mente va sostituito con il “Penso e sento dunque sono” — ricorda il mio Maestro di Bioenergetica Umanistica, Pino Ferroni.

Sapere chi si è, che cosa ci fa sentire bene, per utilizzare le macchine come strumenti uscendo dalla Matrix in cui sono loro a utilizzare noi, dalla Matrix in cui ci hanno relegato. Consapevolmente scegliere gli “alimenti”, le informazioni, le letture che ci fanno bene e aiutare chi non ha mai vissuto il mondo prima di Internet a riscoprire la rete più importante di tutte, che non è Internet ma la Natura e il nostro corpo. E soprattutto, lo ha scritto splendidamente lo scrittore americano Jonathan Safran Foer, riusciremmo a capire meglio la tecnologia se “sapessimo che cos’è meglio per noi”, ma noi non sappiamo chi siamo, prosegue Foer, “perché abbiamo dimenticato l’arte e la necessità di porci la domanda”. Conosci te stesso era l’imperativo di un vecchio filosofo. E la tecnologia, scrive Foer, “ci sembrerà un miracolo solo se saremo ancora capaci di cogliere i miracoli, vale a dire, se il nostro cuore sarà umano”.

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Marisandra Lizzi
Spazio delle Relazioni Umane

Scrivere per migliorare il mondo, partendo dal mio e poi allargando il raggio parola dopo parola