Da un sogno, tutto.
Riflessioni a margine di Wunderkit, con Giulia Capodieci e Paolo Iabichino
C’è un momento preciso in cui il sogno bussa.
A volte lo fa di notte, sotto forma di immagini, frammenti, visioni.
Altre volte si presenta in una stretta al cuore, in un dolore sottile al centro del petto, che ti sussurra che qualcosa non va — e che quel qualcosa è la vita che stai vivendo.
Durante l’incontro Wunderkit, condotto da Giulia Capodieci nella piccola chiesa sconsacrata che oggi è diventata il nostro spazio “sacro” ha detto una frase che mi è rimasta dentro:
“Le risposte che aspettiamo dal destino ce le sta già suggerendo il sogno. Sta a noi ascoltarlo.”
Ed è lì, in quel momento, che ho sentito il bisogno di raccontare qualcosa che — chissà perché — questa sera non ho avuto la prontezza di dire.
Era il 2019. Agosto.
Mi trovavo a New York, immersa in un momento sospeso della mia vita. Una crisi personale, professionale, esistenziale.
E proprio lì, nel cuore di Manhattan, sono inciampata in un’oasi di silenzio e respiro: il Kadampa Meditation Center.
Sono entrata per caso — o forse no.
Seduta in quel silenzio profondo, durante una meditazione, ho sentito che dovevo farlo.
Dovevo ascoltare il sogno.
Quella notte, il sogno è arrivato davvero.
Talmente vivido da non poter essere ignorato:
una scala che scendeva nel sotterraneo, accanto a una piccola chiesa milanese — quella stessa chiesa a fianco della quale oggi sorge la nostra sede. E sotto, in quello spazio nascosto, stava per nascere un Kadampa Meditation Center italiano.
Un luogo dove le persone potessero tornare a se stesse, attraverso il corpo, la meditazione, la scrittura.
Mi sono svegliata con il cuore in gola.
E un’urgenza nel corpo che non era paura, ma chiamata.
Al ritorno, ho fatto la cosa più folle — e più lucida — della mia vita.
Abbiamo liquidato i soci che non erano d’accordo a fare quel passo.
Abbiamo preso in affitto la sede accanto alla chiesa.
E oggi, l’abbiamo comprata.
L’abbiamo comprata mentre tutti ci dicevano che non aveva senso.
Che era un azzardo.
Che una chiesa non era un luogo adatto.
E invece per me è diventato esattamente il contrario: il luogo dove il lavoro ha smesso di essere “lavoro” e ha iniziato a essere creazione. Rinascita.
Non è stato facile. Non lo è ancora.
Ma la direzione è chiarissima. Solare. Limpida.
Questa sera, a Wunderkit, mentre Paolo raccontava della sua pagaia, del mare, della paura e delle burrasche affrontate con Nicola, io guardavo il soffitto della chiesa e pensavo: io qui ci sono entrata da un sogno.
E tutto quello che è venuto dopo è nato da quella fedeltà al sogno.
Perché se il sogno ti viene a cercare, e tu non lo segui, ti viene a cercare di nuovo.
Ma con voce più forte.
O più dura.
Wunderkit, in fondo, è stato proprio questo:
una sera in cui si è parlato di creatività come carne e ossa, come bigliardo e mare, come talento che non si misura in ore fatturabili, ma in profondità di sguardo. In con-tatto umano.
Una sera in cui i sogni si sono messi a parlare tra loro — e noi li abbiamo ascoltati.
E allora, ti lascio con una domanda.
Quella che mi faccio ogni mattina:
Quale sogno ti ha fatto visita stanotte?
E cosa farai oggi per non dimenticarlo?