Buon viaggio, professor Anelli

Marisandra Lizzi
6 min readMay 25, 2024

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Ieri non riuscivo a togliermi dalla testa la notizia della improvvisa scomparsa del professor Anelli. Ho sentito forte l’esigenza di andare ad ascoltare l’intervista che, grazie a Paolo Iabichino, gli feci il 22 giugno del 2021 in una sala vuota a causa della pandemia del Palazzo dei Giureconsulti della Camera di Commercio di Milano. Sembra passato un secolo e invece sono trascorsi solo tre anni da allora. Soffro molto e sento il bisogno di fermare in un testo alcune parole tratte da quella intervista.

Aveva da poco festeggiato i cento anni dell’Università Cattolica e mi aveva colpito una sua frase che passerà alla storia dell’ateneo perché in un’aula Magna completamente deserta al Presidente della Repubblica Mattarella collegato da remoto, aveva detto:

“Siamo in un’aula completamente deserta, ma non ci sentiamo soli.”

Ed ecco altre sue parole:

“Abbiamo avvertito tutti quanti un’ansia di comunicazione e una capacità di superare il divario di comunicazione per cui non ci siamo sentiti isolati, abbandonati, noi e nessun altro, in fondo. Non credo che, salvo situazioni particolari, questa esperienza abbia generato sensazioni forti di isolamento, di abbandono.
Anzi, in fondo c’è stata una tensione diffusa a cercare di mantenere comunque i contatti interpersonali.

L’Università stava suscitando attenzione, partecipazione, a cominciare proprio dal fatto che il Presidente della Repubblica abbia voluto trascorrere metà della mattina insieme a noi. Avere la pazienza di ascoltare il discorso del Rettore, in genere abbastanza tedioso, il saluto dell’arcivescovo e poi di dirci qualche parola che è stata molto importante ed è stato molto toccante.

Alcuni aspetti vanno rivisti. Una certa stagione delle relazioni economiche va probabilmente ripensata con operazioni che richiedono un’attenzione particolare. È molto importante l’attitudine innovativa degli imprenditori come quelli qui presenti perché la cosmesi verde di sicuro non risolve nessun tipo di problema, come la cosmesi del politicamente corretto. Questo probabilmente si inserisce in una riflessione che deve essere un po’ più ampia che è quella di ciò che sta accadendo per effetto della rivoluzione digitale, vera rivoluzione al nostro sistema economico industriale.
La società della rivoluzione industriale del Novecento si è basata sulla chimica e sulla meccanica, quindi è stata fatta su grandi produzioni di massa, su strutture produttive pesanti, inquinanti ma anche ad alto tasso di occupazione quindi anche con degli elementi positivi. Offrire a tante persone la chance di un reddito, di migliorare la loro condizione, con degli impatti ambientali negativi, insomma una grande trasformazione delle società, del territorio, delle città che si è verificata in fondo nel giro di qualche decennio. La creazione, l’accumulazione di valore, probabilmente la stessa idea di capitale stanno profondamente cambiando. Certe attività labour intensive non ci saranno più.

Il digitale ha creato dei valori nuovi, il valore del dato, ad esempio. Vai a spiegare a qualcuno trent’anni fa che che il dato è un bene che puoi vendere. Era l’inizio e in vent’anni è cambiato tutto. Si sono creati nuovi beni, nuovi valori, nuovi mestieri, nuovi modi di lavorare e questo in pochissimo tempo. E questa rivoluzione del digitale sta creando nuovi beni, sta creando nuove relazioni, sta creando nuovi soggetti perché sta creando nuove decisioni, perché sta aggredendo una parte dell’umano.
Negli ultimi anni, si sta parlando dell’umanizzazione, di un nuovo umanesimo. Perché? Perché lo sentiamo aggredito. Un valore lo citi tante volte quando ne hai paura. E allora l’idea della specificità dell’umano è in discussione, la specificità del soggetto è in discussione. Allora siamo davanti a un’epoca nella quale cambieranno una quantità enorme di cose.

Questo ci porterà a una migliore distribuzione delle risorse? Questo è tutto da vedere perché certamente ci spostiamo da modelli noti ad altri che saranno differenti e che probabilmente avranno come grande elemento di differenziazione, l’accumulo di un valore diverso, non tanto l’accumulo del capitale, sempre ovviamente indispensabile, per fare qualsiasi cosa ma l’accumulo di conoscenza perché certamente il capitale ci vorrà ma quello che sarà veramente ancora più importante e decisivo saranno le conoscenze. Sì, perché non siamo di fronte a tecnologie reificate in cose, ma in cose che sono la tecnologia e quindi da questo punto di vista cambieranno ancora degli elementi. Allora i grandi divide non saranno tanto quelli infrastrutturali quanto soprattutto quelli di tipo culturale. Sarà un mondo differente.

Mi chiedo ogni tanto come funzionerà la storiografia da adesso in avanti. Fonti incerte, inventate, smozzicate quelle antiche, più ricche ma riservate quelle più moderne ma la storiografia era fatta sui documenti delle cancellerie, sui documenti ufficiali. Adesso c’è una produzione di strumenti di comunicazione che consente di fare sia la storia alta delle istituzioni sia la storia dei popoli, la storia delle società.
Decisamente è ampia, ma anche con un problema di accessibilità, di ridondanza. Una rumorosità del sistema che lo rende assolutamente ingestibile.
Lo sappiamo tutti. Ci sono due modi per non dire una cosa: tacere oppure affogarla in un mare di chiacchiere. Scrivere vuol dire in fondo lasciare una testimonianza, lasciare un segno del proprio pensiero.

Noi siamo in una società molto strana, perché da un lato oggi è consentito a tutti diffondere il proprio pensiero. Oggi tutto è un gigantesco speakers’ corner. Non c’è più un filtro nell’accesso agli strumenti di comunicazione di massa che è una cosa veramente epocale e veramente altrettanto come il passaggio dalla chimica al digitale.

Perché? Perché vuol dire che l’accesso ai media è un elemento chiaramente un po’ costrittivo della libertà, ma si porta dietro quell’altro grande, tipico contraltare della libertà che è la responsabilità. Tu vai a scrivere su un giornale se comunque chi ti dà accesso al giornale poi si prende la responsabilità di quello che scrivi, perché se diffami qualcuno vai nei guai. Anche il direttore responsabile, quindi, non solo ha verificato quello che hai detto, se sei capace, se hai una qualificazione professionale quindi la diffusione immediata ed estesa del messaggio dell’opinione del verbo di una persona è legata atutt’una degli elementi più o meno impliciti o espliciti, sociali o formali di verifica e di selezione. Qualche volta può essere anche una selezione liberticida, indubbiamente. Oggi invece esiste il contrario. Esiste un accesso indiscriminato alla diffusione, alla esplosione della propria dichiarazione, del proprio pensiero. E anche questo è una cosa a cui non siamo abituati. Cioè noi non siamo abituati a un mondo nel quale chiunque può parlare a tutto il mondo.

Noi siamo abituati a un mondo in cui uno parla a quelli che conosce e riesce a raggiungere persone attraverso delle fasi di validazione della sua legittimazione a parlare a tutti cosa che ripeto può avere delle controindicazioni in termini di sacrificio di libertà ma ha almeno un elemento di attendibilità. Anche questo è un problema nuovo e decisamente diverso insieme al fatto che si creano evidentemente dei luoghi e dei contesti di comunicazione separati e virtuali totalmente sconosciuti a quanto avveniva solo pochi anni fa e ai quali non ci adattiamo perché i rischi che sono insiti nelle varie forme di chat elettronica esistono dai tempi dei tempi di Minitel, quell’aggeggio francese che comunque aveva già provocato qualche omicidio, qualche tipo di reato.
Sono passati quasi trent’anni, però non abbiamo ancora imparato a dominarli quel tipo di fenomeni.

Proprio perché c’è questa progressiva dematerializzazione dei beni, dei valori, delle utilità di ciò che ci scambiamo e di come ce lo scambiamo. Se qualcosa non ha una fisicità si può comprendere solo con la mente e quindi si può comprendere esattamente che cos’è, che cosa significa, chi l’ha prodotta e chi l’ha fatta e in che modo.

Riuscire ad operare in questi contesti, quindi, richiede un tasso superiore di conoscenza e soprattutto di conoscenze molto duttili.
Certamente una base di conoscenze di nozioni, di cose che uno deve sapere. Soprattutto è una capacità di apprendimento. Lo si vede anche nel sistema formativo italiano. Io non so quanto oggi regga questo, ma di sicuro fino a pochi anni fa la grande forza del sistema formativo italiano, soprattutto nella fase della fine della scuola secondaria, era quello di dare un metodo di apprendimento fatto con poche materie studiate in modo approfondito per arrivare e dopo sei capace di imparare quasi tutto quello che ti serve.”

Buon viaggio, professor Anelli. La sensibilità delle sue parole è un dono per tutti noi.

Franco Anelli, Magnifico Rettore dell’Università Cattolica | fonte: Corriere della Sera

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Marisandra Lizzi

Scrivere per migliorare il mondo, partendo dal mio e poi allargando il raggio parola dopo parola