Buon compleanno, Mauro

Marisandra Lizzi
7 min readMar 11, 2024

“Federico perché non lavori?”
“Come non lavoro” risponde lui anche un pochino offeso.
Federico raccoglie i caldi raggi del sole per quando il freddo sarà pungente.
I colori inebrianti per rendere migliore il grigio dell’inverno.
Raccoglie le parole per quando non rimarrà nulla da dirsi.

Federico, Leo Lionni, Babalibri

In un giorno particolarmente simbolico, 11 marzo 2024, condivido il testo dell’intervista di Michela Trada a Mauro Sarina pubblicata qualche settimana fa su Carefin24. Lo faccio perché credo che mai come oggi il mondo abbia bisogno dei “caldi raggi del sole”, dei “colori inebrianti” e delle “parole” di Federico, il personaggio di Leo Lionni che ho conosciuto nel 1990. Non l’ho incontrato nelle pagine del bellissimo libro illustrato per bambini, ma durante le prove dello spettacolo di Teatro Gioco Vita “Pesce, topo, coccodrillo”, uno spettacolo che poi ho visto rappresentare in ogni parte del mondo. Nel 1990 ho conosciuto Mauro e la vita da quell’istante si è illuminata di “raggi del sole” che illuminano il cammino, si è tinta di “colori inebrianti” che sprigionano la forza di credere in un mondo dalle infinite possibilità e le “parole” sono diventate la chiave magica per entrare in quel fantastico mondo. Che dire? “Buon compleanno” non mi pareva abbastanza e quindi ecco le tue parole in questa sorta di specchio magico che riflette chi sei.

Chi sei? qual è la tua mission vision?

Sono Mauro Sarina, oggi potrei dire che sono stato attivista fin dall’adolescenza e forse anche da prima. Il mezzo che ho scelto per cambiare il mondo è stato il teatro e questo è avvenuto dopo aver partecipato a moltissime manifestazioni e dopo aver letto, solo a titolo di esempio, il Capitale di Marx come una sorta di lettura catartica. Da mio padre, che è morto quando avevo solo 14 anni, ho imparato a utilizzare la cassetta degli attrezzi e oggi, con un trapano e un avvitatore, so costruire tutto, da scenografie gigantesche a elicotteri che volano davvero grazie al motore dismesso di una Cinquecento, fino a vere e proprie case ricavate in chiese sconsacrate. Esperienza, quest’ultima, che ho vissuto due volte, una in San Bartolomeo a Piacenza e una nella Chiesetta di San Carlo alle Rottole a Milano. Un giorno, magari, realizzerò giocattoli, chissà.
Ho sempre odiato le ingiustizie e a un certo punto mi sono accorto che per cambiare le coscienze c’era bisogno di partire dalle basi. Per questo, dopo la Scuola del Piccolo Teatro di Milano e dopo la Paolo Grassi, sono entrato in una compagnia di teatro per ragazzi che mi ha consentito di calcare le scene di tutto il mondo, dall’Opera di Pechino a Broadway dove abbiamo fatto il tutto esaurito per una settimana. Oggi ho costruito salde mura e dato consistenza a un sogno. Il sogno di tornare alla terra per capire meglio la complessità del genere umano. Con Marisandra Lizzi ho fondato nel 2002 il Centro d’arte e comunicazione Mirandola come luogo di espressione e contaminazione culturale e artistica, mentre io seguivo il teatro, lei curava la comunicazione. Esiste differenza peraltro? Non credo, dipende da come interpreti la comunicazione che per noi è attivismo attraverso le relazioni. Non è diverso il teatro per come l’ho sempre vissuto io.

Oggi continuo a fare regia nel palcoscenico più importante di tutti, quello della nostra vita. Amo stare dietro le quinte e, seduto sulla mia sedia, guardare i miei attori preferiti mettere in scena spettacoli in grado di cambiare il mondo. Il loro e, perché no, anche quello di altri.

Si può vivere di arte oggi?

Certo si può vivere di arte oggi, si potrà vivere di arte domani e si poteva vivere di arte un tempo. Il punto è che cosa significa poter vivere. L’arte è vita perché consente di esprimere la propria essenza. Ogni persona dovrebbe cercare l’arte dentro di sé.

Per me arte e capacità creativa sono sinonimi. Ci fanno immaginare di avere bisogni infiniti, ma la verità è che per vivere non serve assecondare le logiche consumistiche in cui ci hanno costretto. Forse più che rinunciare all’arte, proverei a capire se davvero abbiamo bisogno di tutto quello che abbiamo.

Molte volte mi chiedo se non si stia affrontando il problema dal punto di vista sbagliato. Piuttosto che rinunciare all’arte, proverei a vedere se posso rinunciare alle logiche consumistiche in cui ci costringiamo a vivere, autosabotando il nostro benessere giorno dopo giorno. In Mirandola Comunicazione stiamo provando a immaginare un mondo in cui anche le aziende possano fare un serio esame di coscienza e non pensare al profitto come fine ultimo e unico del loro agire, ma come strumento per migliorare il mondo. Ve la ricordate la storia del topo Federico di Leo Lionni?

“Federico perché non lavori?”
“Come non lavoro” risponde lui anche un pochino offeso.
Federico raccoglie i caldi raggi del sole per quando il freddo sarà pungente.
I colori inebrianti per rendere migliore il grigio dell’inverno.
Raccoglie le parole per quando non rimarrà nulla da dirsi.”

Questo è il senso dell’arte. Questo è il senso della comunicazione. Per come sta andando il mondo, seguendo le logiche consumistiche, direi che forse la strada dell’arte è da riconsiderare seriamente, perché l’arte è vita e la vita è arte.

Dicono che oggi i “giovani non abbiano la testa sulle spalle”… da cosa nasce secondo te questo mito da sfatare e come si potrà sfatare?

Sarò fortunato, ma frequento giovani che non solo hanno la testa sulle spalle, ma ai quali darei subito il mio voto, se oggi si candidassero. Alcuni di loro lavorano con noi, altri frequentano la nostra casa e i nostri uffici che sono sempre stati la stessa cosa per noi.

Abbiamo una figlia ventunenne attivista per l’ambiente e un figlio diciassettenne che sogna di vincere Wimbledon per aiutare la sorella nella sua causa. Frequentiamo attivisti e sportivi under 30 e sono certissimo che l’investimento migliore in termini di redditività sia quello di dare attenzione, fiducia e amore ai giovani. Quello che restituiscono è inimmaginabile. Se non hanno la testa sulle spalle, semplicemente, sono giovani che non hanno ricevuto attenzione, fiducia e amore. L’esame di coscienza dobbiamo farlo solo noi adulti.

Lo dico dopo 20 anni di teatro per ragazzi e dopo 21 di esperienza da genitore. Non è facile, spesso la società ci distrae, ma dobbiamo provare a resistere e rimanere nel qui e ora. Questo me lo insegna la mia compagna ogni giorno.

Tv, internet e social: è cambiata la fruizione del teatro oggi?

A guardare il teatro di Lotta, il nome d’arte di mia figlia, si tratta semplicemente di nuovi palcoscenici con una nuova grammatica. Una grammatica che va capita e studiata per farla diventare strumento di espressione. Quello che va evitato è diventare noi stessi strumenti di queste piattaforme che, per professione, vendono la nostra attenzione agli inserzionisti, trasformandoci in oggetti di consumo e in lead drogati e fatti circolare attraverso sistemi di intelligenza artificiale.
Ci sono clienti che per dei lead spendono in 3 o 4 giorni quello che danno a noi in un anno per lavorare in 5 o 6 persone.
Conoscere questi meccanismi ci consente di provare a relegare le piattaforme vecchie e nuove a palcoscenico su cui agire da protagonisti e non diventarne schiavi.

Non è facile e più volte ho visto i miei cari soccombere alle logiche estrattive delle piattaforme. La risposta è avere un forte perché. Una missione per la quale combattere. Quando la individui, sai trasformare questi mezzi in strumenti e metterli nella tua cassetta attrezzi come faccio io con il trapano e l’avvitatore, utilizzandoli invece che essendone utilizzati.

Quanto conta il talento?
Il talento per me è la moneta che ti è stata assegnata alla nascita. Molti di noi non sanno qual è, non sanno perché sono nati e quindi la sprecano. Peggio, non sanno neppure di averla questa moneta. E invece ognuno di noi ne ha una. Una sola. Va scoperta, curata, presidiata e investita. Si tratta dell’unica moneta realmente importante nella nostra vita. Quella che ci consente di stare bene perché esprimiamo chi siamo.

Prossimi impegni?
Oggi la mia regia più importante si chiama Mirandola Comunicazione, in scena ci sono una ventina di attori bravissimi e con loro stiamo costruendo uno spettacolo che vuole cambiare il mondo attraverso le parole che scegliamo di utilizzare e anche attraverso quelle che scegliamo di non utilizzare. Non è facile mettere in scena questo spettacolo perché le sfide sono importanti e non basta più essere bravi per stare in scena. Stiamo immaginando di entrare nel mondo del good business e stiamo anche valutando di diventare società benefit. Ora mi siedo sulla mia sedia da regista e vediamo di lavorare a questo copione, poi si vedrà.

L’altra regia, questa più teatrale, sarà per le mille scritture di Carlotta che oggi studia alla Scuola Holden ed è diventata ancora più prolifica di prima. Un vero sogno.
E non è un caso che il percorso che ha scelto di seguire si chiami proprio Daimon.

E poi rimane la scena di Wimbledon, anche a quella stiamo lavorando.

Sempre e su tutte queste scene lavoro con la mia compagna di regia e di vita, Marisandra. Una scena alla volta. Senza fretta. Con i tempi e i ritmi della terra della nostra collina dei sogni che diventano progetti.

Macro obiettivo per il 2024?
Il sogno è introdurre la settimana corta in Mirandola Comunicazione per dare alle persone più tempo per raccogliere i caldi raggi del sole per quando il freddo sarà pungente. I colori inebrianti per rendere migliore il grigio dell’inverno. Per raccogliere le parole per quando non rimarrà nulla da dirsi.

--

--

Marisandra Lizzi

Scrivere per migliorare il mondo, partendo dal mio e poi allargando il raggio parola dopo parola